Guida al concetto di Risoluzione
Il mondo della fotografia analogica era molto facile da comprendere: i negativi, e le stampe che ne derivavano, erano proporzionati e bastava fare un ingrandimento dal negativo per ottenere la stampa delle dimensioni desiderate. Oggi, nel mondo digitale, molti neofiti si ingarbugliano spesso e volentieri sul concetto di risoluzione in entrata e in uscita e fanno una gran confusione al momento di impostare la macchina fotografica correttamente.
Al fine di comprendere questa questione, una volta per tutte, in modo chiaro e cristallino bisogna iniziare a comprendere e accettare l’esistenza di determinate limitazioni dell’occhio umano. La nostra vista, infatti, non è capace di distinguere i dettagli sotto una determinata soglia di dimensione, o meglio di “piccolezza”. Questa soglia varia da individuo a individuo, e anche da giorno a giorno nella stessa persona, ma a grandi linee possiamo dire che siamo in grado di visualizzare circa 80 puntini per centimetro. Questo vuol dire che se disegnamo 80 punti di dimensioni uguali, uno accanto all’altro, nello spazio lineare di un centimetro, saremo in grado di distinguerli separatamente uno dall’altro. Se i punti diventano, ad esempio, 100 in un centimetro, allora non riusciremo più a differenziarli tra loro e sembreranno una unica linea continua. Se vale per una linea, il ragionamento vale anche per una successione di linee ossia una superficie, nello specifico del fotografo un’immagine!
Quando un’immagine è composta da puntini più piccoli di quello dell’esempio (ossia di un 80esimo di centimetro), quello che vediamo è una tonalità continua. E per un paio di centinaia di anni proprio a questo si è affidata l’industria della stampa fotografica. Ogni fotografia e ogni immagine che potete vedere in qualsiasi libro, rivista, giornale, calendario o catalogo è costituita da puntini di inchiostro a una risoluzione che va da 70 fino a oltre 300 puntini per pollice (un pollice = circa 2.5 centimetri). Se prendete una rivista illustrata e ne guardate una immagine con una lente di ingrandimento….ve ne accorgerete.
La tanto famosa risoluzione
Le immagini digitali, sia prodotte direttamente da una macchina fotografica digitale sia ottenuta con uno scanner da una pellicola, sottostanno tutte alle stesse regole: quelle della risoluzione.
Perchè essa è così importante? Perchè se quella utilizzata per realizzare le stampe è troppo bassa, vedremo apparire i singoli puntini, esattamente come si vedono in alcune stampe di bassa qualità quali quelle dei quotidiani. Se nella stampa di una immagine ci sono punti a sufficienza perchè divengano tanto piccoli da essere visti dal nostro occhio come una superficie continua, allora la foto apparirà uniforme e di qualità. Se ci sono pochi punti e risultano troppo grandi per ingannare la nostra vista, allora diverranno visibili singolarmente, abbattendo la qualità visiva della foto.
Se nella foto tradizionale a pellicola i “punti” si manifestavano come “grana”, che in certe situazioni poteva anche avere una sua funzione grafica ed estetica, nella foto digitale essi si manifestano come pixel, orridi quadrati da tutti temuti. Alla fine, quello che si vede sono proprio i pixel, ossia le minuscole porzioni nelle quali viene scomposta la realtà visiva per poter essere catturata dal sensore dalla macchina fotografica o dalle ottiche dello scanner che ha analizzato la pellicola. In poche parole, nel mondo digitale essi sono l’equivalente squadrato della grana (che aveva invece forma irregolare) che si trova nelle classiche pellicole o negativi. Capito questo, i veri problemi iniziano a sorgere quando cerchiamo di comprendere la relazione che esiste tra quello che registra la nostra macchina fotografica e quello che finisce stampato su carta.
Il riquadro che vedete qui sopra mostra la finestra di dialogo Dimensiona immagine (Image Size) di Photoshop relativa alla fotografia che si vedete in apertura di questo articolo. L’immagine è stata scattata con una reflex digitale della Canon, ma il discorso vale anche nel caso di un’immagine create con qualsiasi altra fotocamera o letta da uno scanner, in quanto i principi di base sono gli stessi.
Le informazioni che vedete in alto nel riquadro ci dicono che la macchina fotografica ha scattato un’immagine che misura 2160 per 1440 pixel. Il peso totale dell’immagine è di 8.9 megabyte. La sezione appena inferiore del riquadro indica invece che le impostazioni correnti per un’immagine larga 9 pollici per 6 pollici di altezza daranno come risoluzione finale dell’immagine il valore di 240 pixel per pollice. Da notare che la casellina Ricampiona immagine (Resample Image) non è stata selezionata.
Qual’è il valore assoluto cui fare riferimento?
Semplice: il numero di pixel. Quel 2160 per 1440 è il numero esatto di diversi punti in cui è stata campionata la visione reale. Che sia stata fatta con la fotocamera digitale, o con una pellicola poi scannerizzata, quella porzione di mondo che è stata fotografata è stata suddivisa in 2160 colonne di 1440 punti ciascuna, o se preferite in 1440 righe di 2160 punti ciascuna. O ancora, in un reticolo di 2160 punti per 1440 punti. Quello è quindi quanto avete a disposizione per stampare. Il come lo gestirete si lega al concetto di risoluzione.
Risoluzione in entrata e in uscita
Premessa: il motivo per cui lavoriamo in pollici (inglese inch, ossia circa 2.5 centimetri) non è legato a una nostra anglofonia, bensì al fatto che spesso nel mondo della stampa si usa un parametro detto DPI, cioè Dot per inch, ossia “punti per pollice”, quindi il numero di punti distribuiti lungo i 2.5 centimetri che compongono un pollice inglese. Torniamo ora al nostro discorso e alla finestra di Photoshop.
A questo punto, se vi venisse in mente di cambiare uno qualsiasi dei tre valori indicati nel riquadro, ossia l’altezza, la larghezza o la risoluzione, automaticamente apportereste delle modifiche anche agli altri due valori. Se per esempio voleste ridurre l’altezza a 6 pollici, la larghezza diventerebbe 4 pollici e la risoluzione salirebbe a 360 ppi, come potete vedere qui sotto. Questo succede perché le immagini digitali non hanno una dimensione o una risoluzione assolute; tutto quello che possiedono di definito è un determinato numero di pixel, tanti in larghezza e tanti in altezza, come abbiamo appena visto. Ovviamente la risoluzione cambia con il cambiare delle dimensioni dell’immagine perché il numero di pixel che formano l’immagine vengono distribuiti su un’area maggiore o minore. Di conseguenza anche la risoluzione cambia.
Vi faccio un esempio: se avete un litro d’acqua e lo versate in una vaschetta di 10 per 20 cm, il livello sarà di 5 cm. Ma se lo versate in una vaschetta di 30 per 40 cm, il livello sarà molto più basso. L’acqua si sarà infatti distribuita su una superficie più ampia. La sua risoluzione sarà diminuita. Se fate lo stesso esperimento con un chilo di fagioli, invece che con acqua, nella vaschetta piccola essi formeranno uno strato di un centimetro, in quelal grande non riusciranno a coprire tutto il fondo, lasciando aree vuote. Ecco, quando la risoluzione è troppo bassa si manifestano difetti visivi.
Ora, diciamo che abbiate in mente di stampare una stampa più grande delle dimensioni originali dell’immagine, ad esempio che abbia un’altezza di 24 pollici. Vi ritrovereste con un’immagine larga 9.3 pollici ma la cosa più importante è che quest’immagine avrebbe una risoluzione di soli 155 pixel per pollice. E questo valore di risoluzione in uscita non è sufficiente per realizzare una stampa di qualità, come vedremo a breve.
Aumentare la risoluzione? Si può, ma…
Anche senza bacchetta magica possiamo, con il solo potere dei nostri computer, incrementare la risoluzione quando ne abbiamo bisogno, ovviamente rimanendo entro certi limiti. Avrete sicuramente già notato che la finestra di dialogo di Photoshop su cui stiamo lavorando offre anche una casellina, nella parte inferiore, chiamata Ricampiona immagine (Resample image). Se selezionate questa casellina, una speciale funzione scollegherà tra loro l’altezza, la larghezza e la risoluzione, precedentemente dipendenti virtualmente l’una dall’altra (lo si vede dal fatto che le loro caselle di visualizzazione sono unite o meno da un simbolo a forma di catena), e vi permetterà di modificarle separatamente, ottenendo così un’immagine di qualsiasi dimensione e con qualsiasi risoluzione desideriate. Questo ovviamente non è senza limiti e soprattutto indolore!
Nell’esempio che vedete abbiamo creato un’immagine di 11 per 16.5 pollici a una risoluzione di 360 DPI. Ma, come potete vedere nel riquadro di dialogo, il file finirà per pesare più di 67 megabyte rispetto ai quasi 9 di partenza. Questo sarebbe il problema minore, però; il guaio è un’altro.
Dov’è saltata fuori tutta quella risoluzione aggiuntiva, ossia tutti quei bit in più? Semplicemente sono stati inventati da Photoshop. È la stessa cosa di quando si imposta sullo scanner una risoluzione maggiore rispetto alla reale risoluzione ottica dello scanner stesso. Sono pixel finti, che nascono vuoti e al cui interno non c’è alcuna informazione nuova. Il contenuto viene creato dal programma, interpolando i pixel veri che si trovano nelle vicinanze e ipotizzando quale potrebbero essere il colore e la luminosità di quello mancante. Chiaramente sono ipotesi.
Se vi state chiedendo a cosa possa servire quindi eseguire un’operazione del genere, la risposta è presto detta: se eseguita con moderazione, questa tecnica vi permetterà di ottenere delle stampe più grandi rispetto a quello che la vostra immagine originale permetterebbe di ottenere. Moderazione, appunto. E la ragione per cui i risultati sono piuttosto buoni è che un’immagine grande nasce per essere vista più da lontano rispetto a una piccola, quindi l’effetto non si noterebbe.
Ma come abbiamo appena detto, la parola d’ordine per fare un lavoro fatto bene che offra un risultato accettabile è la moderazione.
Quanto ingrandire?
Di solito un 10%, 15%, massimo 20%, ma dipende anche dall’immagine di partenza. Se avete una foto che ha il lato maggiore lungo qualche centinaio di pixel, potete fare ben poco. Se la sua misura è di qualche migliaio di pixel allora già le cose vanno meglio.
In alternativa a questo sistema potete pensare di utilizzare un programma chiamato Genuine Fractals. Questo plug in di Photoshop (ma che è disponibile anche come programma a se stante) utilizza degli algoritmi matematici differenti da quelli utilizzati da Photoshop e, ad avviso di molti, funziona molto meglio del suo più celebre collega quando si deve incrementare la risoluzione. In entrambi i casi, è importante sottolineare che più l’immagine originale è grande e di buona qualità, migliore sarà l’immagine che otterrete dopo aver incrementato la risoluzione. Anche Genuine Fractal ha ovviamente i suoi limiti.
Infine, vi potrebbe capitare di dover invece abbassare la risoluzione di un’immagine. Se state preparando un’immagine da caricare in rete la vorrete a 72 DPI, che è la risoluzione adeguata per i monitor e per internet. A questo punto non dovrete far altro che selezionare la casellina Ricampiona immagine (Resample image), impostare il valore della risoluzione a 72 DPI e impostare successivamente l’altezza e la larghezza delle dimensioni che desiderate. Photoshop si occuperà di buttare via i pixel in eccesso e di creare un’immagine delle giuste dimensioni. Questo processo è naturalmente meno traumatico dell’altro, dato che toglie e non deve creare nulla.
Qual è la risoluzione giusta?
La domanda da un milione di dollari è: quanto grande è abbastanza grande? La risposta ovviamente dipende dalla destinazione finale della vostra immagine. Ad esempio, le immagini che rimangono sullo schermo solitamente hanno bisogno di una risoluzione massima di 72 DPI, ma se il vostro file dovesse avere una risoluzione maggiore non farà molta differenza. L’unica differenza sarà che l’immagine sarà più grande de quindi potrebbe volerci più tempo a caricarla, o a scaricarla.
I laboratori di stampa per le stampe high-end hanno invece bisogno di livelli di risoluzione ben più elevati. La Light Jet 5000, ad esempio, una delle più popolari stampanti digitali ha bisogno di file che abbiano una risoluzione di esattamente 304.8 DPI. Prima di portare i vostri file in un laboratorio è importante che chiediate di che risoluzione hanno bisogno per poter stampare senza problemi. Le tipografie, ossia i luoghi dove si stampano libri e riviste, richiedono risoluzioni di 300 DPI, mentre i service, ossia i laboratori che stampano le vostre foto portate nel negozio sotto casa, possono lavorare anche a 200 DPI o 150 DPI.
Stampanti a getto d’inchiostro
La maggior parte dei fotografi realizza le stampe delle proprie fotografie utilizzando stampanti da scrivania a getto d’inchiostro; tra queste le più popolari sono le Epson quindi le prenderemo come esempio. Queste stampanti, in particolar modo alcuni modelli, sono indicati forse erroneamente come ideali per le stampe a 1440 DPI. Questo vuol dire che possono imprimere su carta esattamente quella quantità di puntini per ogni pollice. Ma per creare un’immagine a colori hanno bisogno di sei inchiostri diversi, così può essere che un particolare pixel riprodotto su carta sia composto da un insieme di più puntini colorati con uno o tutti i colori disponibili. E questo è il motivo per la vostra stampante deve poter essere in grado di stampare più puntini dei pixel che avete voi nella vostra immagine.
Se dividiamo 1440 per 6 (i sei colori) otteniamo 240. Questo è quindi il reale valore di risoluzione minima di cui avete bisogno per poter ottenere una stampa di buona qualità da una stampante Epson a 1440 DPI. Molti utenti sono convinti che con un’immagine a 360 DPI la stampa risulterà migliore; se l’immagine originale o scannerizzata è abbastanza grande per arrivare a questa risoluzione allora non c’è problema, ma sicuramente non vale la pena di mettersi lì ad alzare la risoluzione di un’immagine oltre i 240 DPI quando volete realizzare delle stampe grandi.
Precisazione: PPI e DPI
PPI (Pixels per inch, ossia pixel per pollice) e DPI (Dots per inch, ossia punti per pollice) sono due unità di misura che vengono spesso confuse o arbitrariamente intercambiate l’una con l’altra. Anche se tecnicamente confonderle sarebbe sbagliato, alla fin fine non si tratta di un grande problema visto che nella maggior parte dei casi non sappiamo neanche quello di cui stiamo parlando. Per amor di precisione è bene tenere presente che gli scanner, le macchine fotografiche digitali e gli schermi si esprimono in PPI, lavorando appunto sui pixel, mentre le stampanti parlano in DPI, avendo a che fare con i punti di stampa. Così, giusto per mettere i puntini sulle I.